In queste ultime settimane ho potuto incontrare molte persone, di diverse età, raccogliendo umori e impressioni sulle prossime elezioni, sulle proposte e sullo stile di partiti e candidati/e. In un dialogo (immaginario) con due interlocutori ho raccolto le “voci” più ricorrenti, per riuscire a restituire per quanto possibile i toni che ho avvertito realmente. A partire da questa bizzarra panoramica aggiungo qualche pensiero di prospettiva.
Quattro chiacchiere d'estate...
Agosto, montagna, una giornata piuttosto afosa nonostante la quota; incontro Marta e Simone di rientro da una gita tra i monti. Il clima è l’argomento di tutti, ma per variare un po’ provo a sondare l’altro tema caldo dell’estate: «Come vi orientate per le elezioni di settembre?». Ho un bicchiere di the freddo in mano, butto lì la domanda, con una certa dose di curiosità perché i due amici sono tra i venti e trent’anni. Qualche giorno prima un ragazzo più giovane mi aveva detto di non sapere neppure che si andasse a votare.
Marta mi fissa e esordisce: «Ma li hai letti i programmi?» Annuisco, la domanda è retorica, e capisco che di cose da dire ne avrebbe molte. E infatti non si tira indietro. «Iniziamo da Meloni-Berlusconi-Salvini: non uno straccio di ragionamento, una lista a punti, un elenco come quando si va a fare la spesa perché il frigo è vuoto. Li ho letti e mi hanno fatto venire in mente la mia prima volta al supermercato da giovanissima: avevo 10 euro, pensavo di poter comprare di tutto, ho riempito il carrello e quando sono arrivata alla cassa il sogno si è infranto. Ho dovuto rimettere i prodotti in più al loro posto. Ecco, ma chi pensano di prendere in giro? Nel loro caso basta il metodo per squalificare la proposta: è come se ti dicessero a chiare lettere che tanto la carta si lascia scrivere, che è tutto marketing, quindi perché perderci tempo? Hanno la sfacciataggine di servirci specchietti per le allodole senza neppure fingere che non sia così». Cerco di provocarla: «Però alcune proposte attirano, specie quelle che riguardano le tasse…». Si inserisce subito Simone: «Ma dai, la flat tax dici? Io proprio non capisco quelli che ci cascano: è la promessa di una mancetta, che significa poi tagli alle entrate e quindi ai servizi, come la scuola, il sociale, la sanità. È l’uovo oggi in cambio del furto della gallina: solo che domani, quando per qualsiasi motivo uno avrà bisogno di aiuto, lo troverà a peso d’oro soltanto nel privato. Berlusconi e Salvini sono Robin Hood al contrario».
Marta non è però più tenera con gli altri contendenti, quando la invito a proseguire Simone mi guarda facendomi intendere che me la sono cercata…
«Il PD e la coppia Calenda-Renzi almeno hanno proposto dei ragionamenti. Sono programmi che mi sembrano molto simili, il PD però è più sbilanciato sui temi dei diritti civili, ne ha fatto una bandiera, forse questa è la differenza che più mi colpisce. Anche perché gli alleati della sinistra su questo fronte si spendono molto. Intendo cose tipo eutanasia, ma anche diritti LGBTQ…». Le chiedo cosa ne pensi esattamente, e Marta mi sorprende con un distinguo che non mi sarei aspettato: «Ciascuno è libero di amare chi gli pare, non capisco tutti questi problemi sulla sessualità di coppia, i diritti di chi vuole costruire qualcosa di bello assieme senza dover chiedere scusa o permesso ai bacchettoni sono sacrosanti. Non mi convincono invece i discorsi che coinvolgono i figli, e ho spesso l’impressione che il pensiero del PD sia ondivago su questo punto». «Sarebbe?», le chiedo. «Beh, una persona mi ha posto una volta una domanda che mi è rimasta impressa: esiste il diritto di avere figli? Ci ho pensato e in effetti i figli non sono delle “cose da avere”». «E quindi?», ho incalzato. «Quindi non lo so, ma ci sono scelte come la maternità surrogata o l’inseminazione eterologa che mi sembrano tutte legate alla stessa mentalità, per cui se una cosa la voglio – fosse anche un figlio, una vita umana, capisci? – perché mi completa, perché mi fa sentite come tutti gli altri, allora diventa un mio diritto. Su questi temi il PD mi sembra sempre più un partito radicale, in cui non riesco a riconoscermi». Mi chiedo se Marta non abbia dato voce a una perplessità che forse pesa più di quanto non si immagini, ma provo a proseguire tornando un po’ più in superficie: «E Conte e i 5 stelle?».
Questa volta è Simone a riprendere parola, li ha votati, dice. Una grande illusione: «Ho capito che non basta essere arrabbiati e delusi per essere in grado di fare meglio, ci vogliono competenze e pensiero politico, non quattro idee raccogliticce. Cento no a cose diverse poi non si trasformano in un sì consistente. Mi aveva soprattutto convinto l’idea di poter contribuire a un cambio di classe dirigente, ma è stato un flop». Il mio the freddo è finito e scruto il fondo del bicchiere. Pausa di silenzio. Intuisco che un altro pensiero sta prendendo forma per Marta, e in effetti dopo qualche istante continua: «I programmi, sì… ma vedi, il vero problema sono le persone. Sono sempre gli stessi. Nel prossimo parlamento sappiamo già chi ci sarà: Berlusconi, Salvini, Meloni, Letta, Renzi, Boschi, Casellati, Serracchiani… e credo si possa continuare fino a esaurimento senza trovare un solo nome nuovo». «Ma no, dai – la interrompe Simone con aria sorniona – gente nuova ce ne sarà: Bossi, Tremonti, Pera!» Ride, mentre Marta si infastidisce e inizia a parlare più forte: «Ecco, sì, vedi? Sono le stesse persone da decenni: per quale ragione dovrebbero riuscire questa volta a fare quello che non sono stati capaci di realizzare finora? Me lo spieghi?». Marta su questo punto è particolarmente infastidita: «Con questa legge elettorale poi noi non scegliamo un bel niente, e i territori sono inascoltati. Siamo sudditi, non cittadini. E su questo sono tutti uguali: leggi il programma del PD, criticano il Rosatellum e poi cosa fanno? Per sicurezza blindano Serracchiani in Piemonte, perché sanno che nel Friuli Venezia Giulia la sua esperienza è stata deludente. Non è anche questo un dare la precedenza ai destini personali rispetto ai riscontri territoriali e alla necessità di ricambio?». Simone annuisce, questa volta con un’espressione più grave.
«Cosa farete allora a settembre?», chiedo con fare conclusivo, più che altro perché è ora di salutarsi. «Non lo so – dice Marta – sono tentata di non andare a votare». Simone le fa eco: «Sono anni che si mette una X sul “meno peggio”, ma così non si può andare avanti, è avvilente una democrazia sospesa, ridotta a esprimersi su pacchetti prendere o lasciare…». «E tu cosa farai a settembre?». La domanda era prevedibile: «Per ora non lo so nemmeno io». E mi viene da pensare che la vera domanda è cosa faremo tutti noi dopo il 25 settembre.
...e qualche considerazione a margine.
Cari Marta e Simone (cari tutti che mi avete a più riprese confidato queste – ed altre – perplessità),
grazie per la nostra chiacchierata. Vorrei anzitutto dirvi che condivido la vostra profonda delusione verso gli atteggiamenti dell’attuale classe dirigente politica nazionale. Ciononostante mi piacerebbe che né voi né io cedessimo alla tentazione di fare di tutte le erbe un fascio: ci sono molte persone di grande valore e disponibilità, specie nelle amministrazioni locali. Ma ce ne sono anche a Roma, a partire dal Presidente della Repubblica.
Credo che stiate mettendo il dito nella piaga più profonda quando denunciate le “blindature”: rivelano un problema di fondo, ovvero la mancanza – in molti ma, lo ripeto, non certo in tutti – di libertà di spirito. Chi non sa scegliere di lasciare, di farsi da parte, di mettersi al servizio del Bene Comune in altra forma, ma sgomita per assicurarsi un posto al Sole del Parlamento non ha la stoffa del/la dirigente e sarà sempre ricattabile. La libertà di spirito non ha prezzo ed è probabilmente il fondamento di ogni impegno politico: ai “blindati sgomitanti” questo tratto fa chiaramente difetto.
C’è una seconda cosa che sento nelle vostre parole: l’esigenza di giustizia, soprattutto per i più fragili, per i più poveri. E quando smascherate la mentalità della flat tax mi state anche dicendo che c’è un gran bisogno di solidarietà di comunità, che i gruzzoletti privati non sono la soluzione ai problemi. Il veleno del berlusconismo, l’illusione che la vita buona si risolva nel consumo individualista (e per questo in quella “mancia” in più in tasca, unita all’idea che le tasse siano in sé un “male”), è penetrato profondamente nella cultura italiana degli ultimi 30 anni. Quel radicalismo che non vi convince della parte avversa è parente di questa mentalità, perché è sempre fondato sulla stessa prospettiva: ognuno lotta per i diritti propri o di gruppo, i desideri non sono discutibili e lo sfondo sociale e culturale è solo un limite odioso e una gabbia da smontare.
Credo invece che avremmo bisogno di ridare sì parola ai desideri personali, ma in contesti comunitari, non di strillarli da opposte barricate. Per capirli meglio, per ritornare ad avere in stima anche i nostri doveri. Per ascoltarci e capirci meglio tra generazioni, per scoprire quali siano le radici delle sofferenze e delle solitudini e inventare risposte relazionali, non individualiste.
Lasciatemi infine ritornare alla domanda con cui ci siamo salutati: cosa faremo il 25 settembre? Ammetto che devo ancora pensarci questa volta. Però credo che sia chiaro che cosa occorrerà fare dopo il 25 settembre, dopo che il Parlamento ristretto dei blindati avrà dato il via alla legislatura: occorrerà che voi ed io, e tutti quelli che da tempo pensano che ci voglia una rivoluzione nei cuori e non nelle piazze, ridestiniamo un po’ di più del nostro tempo alla partecipazione politica. Emmanuel Mounier, non ancora trentenne, nel 1932 (in un tempo che un po’ somiglia al nostro) diceva che occorre una “rivoluzione personalista e comunitaria”, ma che i suoi bagliori non sono quelli rosso fuoco delle piazze: la rivoluzione – secondo un avvertimento che già era di Charles Peguy – “o sarà spirituale o non sarà”. E parlavano di politica, non di religione.
Sarebbe bello poter crescere insieme nei prossimi tempi in uno stile di discernimento: delle persone e delle vocazioni, delle situazioni, delle idee e delle soluzioni. Potrebbe essere avvincente riprendere il filo della politica proprio da qui, da opportunità e metodologie di incontro, di ascolto e di confronto, che ci aiutino a ricreare tessuti di amicizia civile e di comunità, anche se i temi potrebbero sulle prime dividerci.
Spero di rivedervi e spero che dopo quello della delusione possa esserci un tempo di ricostruzione non arrabbiata, in cui la vostra generazione possa essere protagonista, insieme alle persone più sagge che ci precedono tutti.