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La nota del Vaticano al Governo italiano sul DDL Zan ha fatto rumore. Ho scorso molti post e tweet per provare a cogliere i modi che stanno caratterizzando la discussione, a partire da un punto fermo, e cioè l’ispirazione dell’iniziativa di legge, che è quella di sostenere una cultura del rispetto per le persone, indipendentemente dalle loro idee, dalle loro scelte e dalle loro appartenenze.
Rispettare qualcuno quando si condivide quel che pensa o propone è facile. Il difficile è farlo quando non si è d’accordo su qualcosa, quando le prospettive dell’altro ci sembrano sbagliate o addirittura dannose. Ma è questo il banco di prova dell’etica e della cittadinanza: discutere, approfondire e convincere, venir conviti o rimanere fermi sulle proprie posizioni; discutere e misurarsi con successi o sconfitte nelle sedi parlamentari o in altri contesti. Il tutto sempre tenendo fermo il rispetto per l’altro.
Cos’è allora questo “rispetto” nei frangenti di dissenso? In cosa lo possiamo vedere concretamente, plasticamente?
Provo a metterlo a fuoco in un post un po’ lungo, partendo proprio da alcuni aspetti del dibattito sollevato dalla nota del Vaticano.
“Rispettare” significa anzitutto riconoscere nell’altro quella stessa complessità di vita e ampiezza di sensibilità e di pensieri che sperimentiamo in prima persona. Se giustamente comprendiamo noi stessi come anime pensanti, articolate, immerse in una vita complicata fatta di alti e di bassi, di fortune e di sventure, di intuizioni geniali (e magari di cantonate pazzesche), allora il primo tassello del rispetto è riconoscere che anche gli altri sono fatti proprio così.
Siamo di quella stessa pasta meravigliosamente complicata e variegata che chiamiamo “umanità”. Questo significa che nessuno può essere trattato come un’entità piatta, riassumibile in un solo pensiero, in un solo gesto, in un solo tratto globale: sarebbe una mancanza di rispetto. Una pericolosa mancanza di rispetto, perché come ricorda il Manifesto della Comunicazione non ostile, quando schiaccio l’altra persona su una sua sola posizione o idea, finisco ben presto per trasformarla in un nemico da annientare (principio n. 8). Specialmente quando finisco per rappresentare il mio interlocutore come un cattivo, un mostro, uno stupido, un retrogrado o in qualsiasi altro modo deteriore e semplificatorio, di fatto non sto più discutendo le sue idee, ma il suo stesso diritto a trovare ascolto e a partecipare alla discussione. Quando cado in questo genere di semplificazioni alimento le derive della marginalizzazione, dell’esclusione e della violenza.
Per questo, dai modi in cui dipingiamo gli interlocutori con cui dissentiamo si capisce se il termometro del rispetto segnali febbre o buona salute. È un modo semplice ma infallibile per capire come stanno le cose.
Torniamo allora ai modi che mi è parso di cogliere osservando le dinamiche comunicative che si sono attivate nel dibattito pubblico dopo la nota ricevuta dal Ministero degli Esteri.
Provo ad invitarvi a una piccola finizione, perché può aiutare a riflettere, spero, con un mezzo sorriso. Immaginiamo che un interlocutore sia il signor Vaticano. Il signor – poniamo – Vaticano Oltretevere, di anni 78. Cosa sappiamo di lui? Diciamo: quel che si sente in giro qua e là. Fa cose, dice al bar quel che gli passa per la testa, alla domenica va a messa e si siede in primo banco. Poi c’è la signora Italia, vicina di casa. La signora Italia Liberata Nicolich, stando all’anagrafe, anche lei di anni 78, nata a Pola e imbarcata sul Toscana. Ci sono i concittadini al bar, che discutono animatamente di quel che fanno i due compaesani, e aggiungiamo pure un viaggiatore che cerca di farsi un’idea della questione che scalda gli animi.
Dunque: il signor Vaticano ha da ridire su un progetto della vicina e lo fa presente alla signora scrivendole una lettera garbata e in bella calligrafia, in forza di un accordo che i due hanno sottoscritto diverso tempo addietro sui modi di gestire la loro vicinanza e loro eventuali divergenze. I due avevano anche di comune accordo stabilito che se in avvenire fossero sorte difficoltà di interpretazione o di applicazione di quanto convenuto insieme, si sarebbero in ogni caso adoperati nella ricerca di un’amichevole soluzione.
La notizia della lettera arriva al bar e c’è naturalmente chi ha simpatia per le idee del signor Vaticano sulla questione oggetto del contendere e chi invece si trova più d’accordo con quel che pensa e che sta valutando di fare la signora Italia. Di idee e di progetti però si discute poco, mentre l’atmosfera si scalda perché c’è subito chi dice che il signor Oltretevere vuole comandare in casa della signora Nicolich, c’è chi sostiene che il signor Vaticano non deve impicciarsi, che l’accordo tra i due è roba datata, di epoche illiberali, che la signora Italia dovrebbe stracciarlo e basta, e c’è chi tira fuori il racconto di una malefatta dell’uomo e la butta lì nel discorso.
Il viaggiatore intuisce il tema, e sarebbe anche curioso di capire ragioni e obiezioni, ma fatica a comprendere i commenti che sta ascoltando: il signor Vaticano ha fatto qualcosa di sbagliato nel mandare una lettera alla signora Italia sulla base del loro accordo? Perché un accordo tra i due dovrebbe essere stracciato solo perché sottoscritto molto tempo prima? Cosa c’entra, nel quadro, l’episodio controverso ricordato al bar, che certo non mette in buona luce il signor Oltretevere?
Insomma, al viaggiatore di passaggio il dibattito sembra un po’ strampalato, però non può fare a meno di notare che nel bar, proprio grazie ai vari interventi, alla fine i più convengono che la signora Italia, accordi o non accordi, debba procedere con la sua ristrutturazione senza se e senza ma, e che quel vecchio guastafeste e imbroglione del signor Vaticano dovrebbe solo starsene zitto, e che se si levasse di torno sarebbe senz’altro meglio.
Le movenze della discussione hanno creato un clima di consenso globale verso la signora Nicolich e di diffidenza verso il signor Oltretevere, ma non hanno aiutato a esplorare meglio il merito della questione e i punti precisi delle loro divergenze o le loro preoccupazioni.
Potremmo, naturalmente, immaginare anche un quadro capovolto: è ben possibile che in un altro bar sia la signora Nicolich ad avere la peggio. Altri avventori, con l’identica dinamica, potrebbero giungere a conclusioni speculari: è la vecchia Italia Liberata a non meritare ascolto, perché una petulante poco raccomandabile.
Quale che sia il versante che ci piace immaginare, difficilmente potremmo giudicare quello a cui ha assistito il viaggiatore un dibattito pubblico di qualità, condotto con rispetto delle persone di cui si parla. Quando la discussione si sbilancia sugli interlocutori, ne semplifica il profilo in modo deteriore fino a farne degli “inascoltabili”, il termometro del rispetto indica, come minimo, alterazione.
Le movenze del confronto culturale di queste ore mi sembra abbiano assunto un andamento simile a quello semiserio della finzione. Alcuni influencer hanno proposto degli interventi in cui la discussione sulle idee ha lasciato visibilmente il posto alla squalificazione dell’interlocutore, con modalità che ho anticipato nella finzione.
Ecco un esempio di processo alle intenzioni del malvagio (signor) Vaticano:
“L’intervento del #Vaticano contro il #DDLZan non è una difesa del #Concordato ma un attacco pericoloso all’articolo 7 della nostra Costituzione sulla laicità dello Stato, siamo una democrazia non una teocrazia”. (Vladimir Luxuria)
Ecco l’argomento “roba vecchia e illiberale”:
“Il #Vaticano non s'intrometta. Il #Concordato è roba d'altri tempi, così come una "segreteria di Stato" che detta legge nel campo della fede religiosa #DDLZanLeggeControOmofobia”. (Gad Lerner)
Ed ecco ancora la strategia del rilancio del fattaccio per squalificare l’interlocutore:
“Riassumendo: il Vaticano che ha un debito stimato di 5 miliardi di euro su tasse immobiliari mai pagate dal 2005 ad oggi per le strutture a fini COMMERCIALI dice all’Italia “guarda che con il DDL Zan stai violando il #Concordato”. (Fedez)
Credo che interventi come questi siano dei passi falsi dal punto di vista dell’etica della comunicazione e della convivenza civile, perché in tutti i casi quel che si suggerisce tra le righe è che la controparte non sia in sé degna di ascolto.
Certamente il Vaticano non è una persona, la finzione serviva a evidenziare la dinamica del dibattere. Ma sarebbe ingenuo pensare che dire “il Vaticano” sia come riferirsi solo a uno Stato confinante, come “la Francia” o l’Austria”. “Il Vaticano”, almeno in Italia, funziona come il termine “Chiesa” per riferirsi ora ai vescovi, ora concittadini laici cattolici, rappresentanti del popolo in Parlamento o elettori. E il passo dal “dàgli al (signor) Vaticano” allo squalificare come indegni della nostra democrazia i concittadini che professano la confessione cattolica non è poi così lungo, saltando di semplificazione in semplificazione. E anche questo non è stato difficile notarlo in queste ore.
Ho trovato, tra i vari, un tweet con un migliaio di like, che mi è parso significativo e riassuntivo di molti altri:
"Il #concordato è il frutto di un accordo voluto dal fascismo che uno stato serio e sano avrebbe abolito già da un pezzo. Ma siccome anche i cattolici votano nessun politico di nessun colore sarà mai disposto a liberare l'Italia dalla zavorra dell'ingerenza del #vaticano". (Cristina Correani)
Ciascuno è libero di rappresentarsi “i cattolici” come a un solo uomo telecomandato da una potenza straniera, ci mancherebbe. E si può anche pensare che il fatto che “anche i cattolici votano” sia una iattura, causa di subalternità per lo Stato. Però mi sembrano pensieri semplificatori e violenti, rivolti contro una categoria di persone e non contro delle idee precise che non si condividono.
Non credo che interventi di questo tipo possano, come vorrebbero nell’onestà dell’intenzione, essere di buon sostegno alla causa del riconoscimento universale della dignità delle persone, quali che siano le loro scelte, orientamenti o appartenenze.
Mi è sembrato che in più luoghi nel dibattito di queste ore il termometro del rispetto abbia segnato febbre alta. Ed è una cosa di cui dispiacersi, specialmente quando il tema centrale vorrebbe proprio essere quello della tutela della dignità e della rispettabilità di ogni persona in quanto tale, “senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali”, come recita l’art. 3 della Costituzione.
Aggiungo, a scanso di equivoci e unilateralità, che se per annunciare il vangelo di Gesù Cristo o per sostenere idee o valori della tradizione cattolica utilizzo la stessa modalità comunicativa dell’attacco semplificatorio all’interlocutore, banalizzandone il profilo e tratteggiandolo come un mostro o un poco di buono, non faccio nulla di diverso.
Esempi di cattiva comunicazione se ne potrebbero trovare, ahimé, anche tra i post e i tweet dei simpatizzanti del signor Vaticano, non solo tra quelli dei più appassionati sostenitori della signora Italia Liberata.
Purtroppo per noi tutti, due mali sommati non fanno mai un bene, neppure nel dibattito pubblico.
A ciascuno il compito di ricordare che il rispetto o è davvero per tutti (e in particolare per coloro di cui non condividiamo le idee o le scelte), o, semplicemente, non è.