Con un post del 14 agosto la Presidente della Camera, Laura Boldrini, ha socializzato la sua intenzione di ricorrere (se necessario) alle vie legali per tutelarsi dagli inqualificabili insulti di cui è fatta insistentemente bersaglio sui social media. «Ne ha il diritto e ne ha il dovere», ha commentato Beppe Severgnini sul Corriere della Sera del 16 agosto, mettendo a nudo l’inefficacia delle soluzioni finora tentate per evitare di avviarsi, anche sui social, lungo il binario “legge-sanzione”.
Il sogno di un ambiente online capace di forme di autogoverno si sta infrangendo sugli scogli della rivendicazione della libertà di espressione di persone indisponibili all’automoderazione. «Queste persone – ha scritto ancora Severgnini –, quasi certamente, non si rendono conto di ciò che fanno e dei rischi che corrono. Come possiamo convincerle? Ci abbiamo provato con il ragionamento, ci abbiamo provato con l’informazione, ci abbiamo provato con l’autoregolamentazione delle piattaforme: non è servito». Quel che rimane è la denuncia alle autorità competenti e – possiamo immaginare – a breve, il varo di nuove norme e relative sanzioni a cui la polizia postale possa fare riferimento.
Ho sostenuto convintamente fin dai suoi esordi il progetto Parole O_Stili, che proprio la Presidente Boldrini ha, per così dire, “tenuto a battesimo” a Trieste, in occasione della presentazione del Manifesto della comunicazione non ostile e posso dire che una delle preoccupazioni di fondo del Comitato Scientifico è stata proprio quella di non concedere spazio all’idea che il Manifesto, con i suoi “principi”, fosse una sorta di testo legislativo o di codice deontologico. Non volevamo dire “come ci si deve comportare” ma piuttosto “come sarebbe più bello un ambiente in cui imparassimo a muoverci con certi accorgimenti”. Implicitamente abbiamo seguito un’intuizione delle etiche medievali, per cui la via della bellezza e della persuasione intima del bene è umanamente più ricca della via del dovere e della costrizione.
Questo “sogno medievale” di Parole O_Stili – quando si dice l’oscuro Medioevo… –, il sogno di una capacità di cambiamento che nasca liberamente dalle persone, va archiviato definitivamente o esiste una via per alimentarlo e sostenerlo?
Credo che questa sia una questione molto importante, specialmente ora che il progetto sta scaldando i motori per essere d’aiuto anche nelle scuole e alle nuove generazioni.
Vorrei ripartire dalle annotazioni di Beppe Severgnini: ci abbiamo provato altrimenti che con la forza della legge e della sanzione, ma non è servito.
Forse non è consolante, ma non è un problema dei giorni nostri.
Nelle battute di chiusura di uno dei Classici della morale di ogni tempo, troviamo qualcosa di molto simile: «Avremo bisogno di leggi, in generale, per tutta la vita; infatti i più obbediscono più alla necessità che alla ragione e più per le punizioni che per il decoro» (EN X, 9, 1180a). Era Aristotele, ed era il IV Secolo a.C.; dopo aver speso pagine memorabili all’indirizzo di Nicomaco per parlare della ricerca della felicità, del valore delle virtù e di una attenta formazione, dopo aver ragionato, informato e tessuto l’elogio dell’autoregolazione, anche lui sembra essersi arreso all’evidenza: tutto questo funzionerà con pochi, per la maggioranza ci vuole la mano pesante.
Aristotele era indubbiamente un aristocratico, forse anche per questo non nutriva gran fiducia nelle possibilità di cambiamento delle “masse”. Fosse vissuto all’epoca della banda larga, probabilmente avrebbe auspicato da subito leggi ad hoc e l’intervento delle forze dell’ordine (e non come extrema ratio).
Poi il tempo è passato e sono arrivati gli oscuri medievali. Neppure il panorama sociale del XIII Secolo doveva essere uno splendore di virtù civiche, ma almeno – avendo più di un millennio e mezzo di osservazione filosofica alle spalle – a loro modo sapevano che questa “bassezza d’animo” era semplicemente un aspetto della condizione umana e non una recrudescenza di barbarie o il problema di una certa classe sociale o di un gruppetto di individui molesti. Avendo letto molto altro oltre ad Aristotele, erano a conoscenza anche di qualcosa a cui il filosofo greco non aveva riservato particolare attenzione: sapevano che il cambiamento o nasce da dentro l’uomo, lungo la via della bellezza e attraverso una appassionante lotta interiore, o non nasce affatto. Sapevano cioè che puntare sul binomio legge-sanzione è efficace nell’immediato per disciplinare i comportamenti e riordinare per un po’ il decoro di un ambiente sociale, ma alla lunga è fallimentare, perché non solo non favorisce il cambiamento individuale – nessuno muta d’animo per via di costrizione – ma peggiora la vita di tutti, con un proliferare esponenziale di adempimenti preventivi, gabelle, controlli e multe al dettaglio.
Se vogliamo, la grande domanda delle etiche medievali non era allora “come disciplinare i riottosi?” ma avrebbe potuto suonare più o meno così: “Come si diventa artefici del proprio cambiamento in meglio?”. Il bene e il male non sono equivalenti, ma neppure statici: o si procede verso l’uno o verso l’altro, nella vita si migliora o si peggiora. In entrambi i casi si tratta di cambiamenti frutto di decisioni – più spesso piccole e ordinarie – che dirottano da un modo di fare ad un altro. Per questo riflettere sul bene e sul male è importante per individuare il meglio e il peggio, ma altrettanto importante è imparare a vedere in se stessi la dinamica del dirottamento: cambiare binario è riconoscere la tensione che precede ogni decisione, è distinguere verso cosa ci spinge quel po’ di personalissima “bassezza d’animo” che ciascuno porta in dote e quali siano le alternative che si fanno avanti, è riappropriarsi dei propri margini di manovra per indirizzarsi al meglio, scoprendo che cosa sia di aiuto nel vincere le proprie resistenze. A tutto questo la morale medievale ha dedicato grande attenzione, preoccupandosi in fondo di restituire alle persone il potere di cambiare le cose migliorando anzitutto se stesse, come risposta al richiamo di una maggiore bellezza umana più che come sottomissione ad un dettato legislativo (pur senza disconoscerne l’utilità e talvolta la necessità).
A mio modo di vedere, qualcosa di tutto questo – un sogno appunto di sapore medievale – è filtrato nel progetto di Parole O_stili e nel tentativo di promuovere un’etica della prima persona (“io potrei…”), stimolando ad espandere il tempo della riflessione prima di decidersi per un “pubblica”, incoraggiando a valutare le alternative migliori, invitando a considerare il proprio potere di rendere più umano l’ambiente relazionale, che sia online o offline.
Rimane vero quel che ha scritto aristotelicamente Severgnini: ragionare, informare, promuovere l’autoregolamentazione in prima persona non è servito.
Come segnalavo sopra però, il sogno medievale si regge su due cardini: una discussione su quel che fa bene e su quel che fa male (e su quel che di conseguenza ciascuno potrebbe fare), e una forte propensione all’attenzione interiore, all’esame di sé e all’esercizio spirituale, inteso come “ginnastica” per affrontare il silenzio e le tensioni tra i diversi propositi che ci animano. Perché sono queste le manovre che concretamente consentono di espandere la propria libera capacità di cambiamento.
Se allora informare e riflettere non è servito, non è perché sia inutile, ma perché non basta. Perché è uno sforzo fatto a metà se non si apre uno spazio per capire e sperimentare come il “fare altrimenti” possa entrare liberamente ed efficacemente nella propria vita.
È vero che siamo in un tempo di spending review, ma perché accontentarci di metà del sogno medievale, avendo intuito che si tratta dell’alternativa possibile alle misure repressive?
Non contesto la decisione della presidente Boldrini, né mi straccerò le vesti se arriverà anche online la mano pesante per coloro che hanno perso in se stessi quel senso del decoro che tratterrebbe da certo modo di esprimersi. Quando i proverbiali buoi sono scappati dalle stalle si è spesso nel vicolo cieco degli estremi rimedi. Dico però che se non vogliamo chiuderci ancora una volta nell’etica della terza persona (“si deve”) e, vedendola disattesa, arrenderci alla dinamica legge-sanzione, quel che potremmo fare è dare più spazio al secondo cardine del sogno medievale, e investire (anche in senso formativo) sulla capacità umana di sostenere il conflitto interiore volgendolo al meglio. Per riprendere a lavorare in questa direzione non è mai troppo tardi.
Regalare un po’ di Medioevo alle future generazioni potrebbe significare regalare un po’ di luce in quell’oscurità dei nostri modi violenti che, giustamente, continua a preoccuparci.
Post pubblicato sul blog di Parole O_Stili